"Il Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a qualunque costo ed in qualunque occasione, e quello di garantire nel modo il piu' assoluto la liberta' di lavoro."
Il Municipio di Cavour
"Le leggi devono tener conto anche dei difetti e delle manchevolezze di un paese. Un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all'abito."
Tomba della Famiglia Giolitti
"Nessuno si puo' illudere di potere impedire che le classi popolari conquistino la loro parte di influenza economica e di influenza politica. Gli amici delle istituzioni hanno un dovere soprattutto, quello di persuadere queste classi, e di persuaderle con i fatti, che dalle istituzioni attuali esse possono sperare assai piu' che dai sogni dell'avvenire."
Il busto di Giolitti
"Agli uomini politici che passano dalla critica all'azione, assumendo le responsabilita' del governo, si muove spesso l'accusa di mutare le loro idee; ma in verita' cio' che accade, non e' che essi le mutino, ma le limitano adattandole alla realta' e alle possibilità dell'azione nelle condizioni in cui si deve svolgere necessariamente."
Cavour, la rocca e le Alpi
"Agli uomini politici che passano dalla critica all'azione, assumendo le responsabilita' del governo, si muove spesso l'accusa di mutare le loro idee; ma in verita' cio' che accade, non e' che essi le mutino, ma le limitano adattandole alla realta' e alle possibilità dell'azione nelle condizioni in cui si deve svolgere necessariamente."
Rassegna stampa
da "Il Risveglio" del 7 settembre 2023
Didascalia
da "Il Giornale del Piemonte e della Liguria" del 22.08.2023
da "Il Giornale del Piemonte e della Liguria" del 01.05.2021 "Il Foglio" di venerdì 12 febbraio 2021 IL GIORNALE DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA, del 27/01/2021 STORIA IN RETE, dicembre 2020
IL GIORNALE del 17.11.2020
CONVEGNO DEL 10/10/2020 A VICOFORTE DUL RE VITTORIO EMANUELE III RASSEGNA STAMPA
LAVOCEDIALBA.IT, del 22 giugno 2020 Da "Il Giornale del Piemonte e della Liguria" del 09.06.2020 Da "Il Giornale del Piemonte e della Liguria" del 26.05.2020 ITALIA OGGI, 13 MAGGIO 2020 IL GIORNALE DEL PIEMONTE E DELLA LIGURIA, 12 MAGGIO 2020, PAG. 3 L'APPELLO DELL'A.S.S.G.G. PER RIAPRIRE I CONFINI TRA LIGURIA E PIEMONTE
Il "rapporto" tra monarchia e fascismo: tra cronaca partitico-parlamentare e storiografia. Un dibattito aperto. Il convegno di Vicoforte (8 ottobre) sulla seconda fase del regno di Vittorio Emanuele III ha suscitato un dibattito nel settimanale "Idea". Chi volesse intervenire può scrivere al suo direttore, dottor Claudio Puppione.
LA MONARCHIA, LA STORIA E IL FASCISMO È in atto il giusto tentativo di affermare con serenità e obiettività di giudizio la figura di re Vittorio Emanuele III, che in 46 anni di regno è stato artefice e protagonista di uno dei periodi più intensi e difficili della nostra storia contemporanea. Ho assistito al qualificato convegno di studiosi tenutosi a Vicoforte sui rapporti fra monarchia e fascismo, su cui ha riferito la rivista “IDEA”, per cui vorrei esprimere il mio pensiero di italiano anche di fronte alle continue polemiche insorte sulla sepoltura del re d’Italia Vittorio Emanuele III nel santuario di Vicoforte. In convegni e dichiarazioni si punta a indicare le divergenze fra monarchia e fascismo nel periodo della loro coesistenza. Poiché in tanti anni dal 26 luglio 1943 a oggi del fascismo si è detto tutto il male possibile, e si continua, questa linea giustificatrice di riabilitazione della monarchia si vorrebbe fosse la più accettabile. Ma non è così. Settarismo, pregiudizio ideologico, demonizzazione degli anni del fascismo non concedono spazio alla veritiera revisione storica. Tante prese di posizione lo confermano da parte di esponenti politici, studiosi, intellettuali e giornalisti. Lo stato d’animo e mentale è dimostrato significativamente da un monregalese di spicco, rappresentante della comunità ebraica, il professor Guido Neppi Modona, docente universitario e giudice della Corte costituzionale dal 1996 al 2005. “Provincia Granda”, settimanale di Mondovì, il 20 dicembre 2017 riportava queste sue dichiarazioni: «Fu un Re disastroso, non c’è molto da aggiungere. Ma a me non interessa tanto che Vittorio Emanuele III sia stato sepolto o no a Vicoforte. Il problema è che c’è stato un processo di rimozione storica delle leggi razziali in Italia. Mi pare ovvio, questo Re non merita riconoscimenti di tipo politico e istituzionale. Ma il problema non è quello della sistemazione delle spoglie. Il problema è quello di non cancellare le responsabilità di Vittorio Emanuele III che è stato una sciagura per la storia italiana. Non impedì la marcia su Roma, ma anzi affidò a Mussolini l’incarico di formare il Governo nel 1922. Ha firmato le leggi “fascistissime” contro le opposizioni al regime e le leggi razziali del 1938 e ha voluto l’entrata dell’Italia in guerra del 1940, fino all’ingloriosa fuga a Brindisi nel 1943». D’altronde, pur di sottrarsi a certo linciaggio politico, si arriva al punto che le Guardie d’onore delle reali tombe del Pantheon, che stanno organizzando il loro raduno nazionale a Vicoforte, dichiarano al quotidiano “La stampa”: «Non siamo monarchici (sic! Loro che portano il basco con lo stemma di casa Savoia), ma una fiera associazione combattentistica». Che tristezza. Penso perciò che non sia quella la strada da percorrere per sostenere la verità storica, ma che siano da rivendicare, nella buona e nell’avversa sorte, le tante convergenze in nome dell’Italia, dei suoi valori ideali tradizionali, delle sue conquiste sociali, civili, culturali e di modernizzazione. Non dice niente il fatto che gli anni del consenso al fascismo siano stati anche quelli del massimo prestigio della monarchia sabauda? Lo storico Gianni Oliva ha scritto: «La sua corona e il Fascismo coincidono e anzi il regime è la garanzia stessa della Monarchia». E non dice niente che a cominciare dall’immediato dopoguerra le due componenti popolari, quelle dei monarchici e dei neofascisti, si siano in gran parte ritrovate insieme nelle vicende politiche in nome di una patria pacificata, unita e rinnovata? È l’ora del coraggio.
Paolo Chiarenza (Busca)
Tra le molte inquietanti notizie diffuse dai mass media, due in particolare mi hanno colpito, per ragioni diverse. La prima è l’aperta ostilità delle istituzioni (Provincia, Comuni di Mondovì e di Vicoforte, la Diocesi monregalese) nei confronti del l’Associazione Guardie reali di casa Savoia, in occasione del prossimo raduno al santuario di Vicoforte di Mondovì, stigmatizzando come un vero e proprio affronto politico di matrice anticostituzionale, quello che, invece, è e deve rimanere (intendiamoci: senza nul la togliere alla gravità degli eventi storici del secolo passato), un deferente momento di raccoglimento sulle tombe di due ex reali (foto). Appartenendo io a una generazione del dopoguerra, sono convintissimo che gli insegnamenti storici e sociali, ricevuti dalla scuola, dalla famiglia e anche dalle istituzioni (Chiesa compresa) di qualche decennio fa non lascino spazio a nostalgie anticostituzionali. Ritengo prevalga il principio che, se si rimane legati con rancore al male profondo del passato, non si riesce a cogliere ogni possibile positività del presente, rinunciando, così, anche a un futuro più limpido e costruttivo. La seconda notizia concerne il blocco della realizzazione della variante/circonvallazione di Demonte in Valle Stura, impartito, addirittura, dal Ministero dei beni culturali (stavolta l’ex ministro Danilo Toninelli non c’entra!), dopo che, poco tempo fa, da Roma era arrivata, dopo decenni d’attesa, l’autorizzazione definitiva alla realizzazione dell’indispensabile opera stradale. Come cittadino sono sbalordito e anche, civicamente offeso nel constatare che un ministro come Dario Franceschini (tra i meno distruttivi e insignificanti dell’ultimo decennio), abbia fatto ricorso a una vergognosa scusa della peggiore, vecchia scuola Dc per dirottare altrove i fondi già destinati a Demonte. Perché, come ha insegnato il divo Giulio Andreotti, «A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina».
Dino Giordanengo (Peveragno)
Ho letto e meditato l’intervento di Paolo Chiarenza “La monarchia, la storia, il fascismo” su “IDEA” del 24 ottobre. Ringrazio l’autore dell’attenzione dedicata al convegno di Vicoforte dell’8 ottobre su “Gli anni del consenso, 1922-1937”, organizzato dall’associazione di studi storici “Giovanni Giolitti” (Cavour). Quale direttore dell’Assgg e del convegno medesimo, concordo con Chiarenza che il “lungo regno” di Vittorio Emanuele III meriti concentrazione critica, anziché la reiterazione di opinioni faziose. Lo ha scritto molto bene Gianni Carnevale in “IDEA” del 14 novembre. La ricostruzione storiografica (documentazione ed esposizione cronotattica dei “fatti”) è dovere dello studioso. I rapporti tra la monarchia e il fascismo furono complessi e, comunque, molto diversi da quelli comunemente spacciati e creduti. Solo con il discorso di Udine (1922) Musso lini accantonò (provvisoriamente) la questione istituzionale. Il 31 ottobre il Re lo in caricò di formare un governo di unione costituzionale, comprendente fascisti, nazionalisti, cattolici, demosociali, liberali conservatori, il giolittiano conte Teofilo Rossi di Montelera e due ministri di garanzia, quali erano Armando Diaz e Paolo Thaon di Revel.
A differenza di chi (per esempio Emilio Gentile) asserisce che «fu subito regime», il Governo era una coalizione approvata a larghissima maggioranza dalle Camere. Il 6 aprile 1924 la Lista nazionale (detta altresì “Listone”) ottenne il 65% dei voti e due terzi dei deputati. Tale lista comprese nazionalfascisti, liberali, cattolici e anche “democratici”. I neodeputati iscritti al Pnf erano appena 227. Le opposizioni (con eccezione di Giolitti e dei “comunisti d’Italia”) dall’estate 1924 disertarono l’aula. Il Re rimase senza alternative al governo in carica. Anno dopo anno il Sovrano ratificò le leggi approvate dai due rami del Parlamento, inclusi i Patti lateranensi tra il Regno e lo Stato della Città del Vaticano (sul quale vedi “I Patti lateranensi in occasione del XC anniversario, 1929-2019”, a cura di Bernard Ardura, presidente del Ponti ficio Co mitato di scienze storiche). Le elezioni del marzo 1929 comprovarono il consenso degli elettori verso un governo che, mutando ripetutamente la rotta in tutti i settori preminenti della vita pubblica (in specie nell’“economia”, affidate a uomini di talento come il massone Alberto Beneduce), ottenne successi indiscutibili interni e internazionali. Però, a differenza di quanto detto di solito (da Paolo Colombo, Frédéric Le Moal e altri), l’Italia non divenne una “diarchia”. Il Re cedette su alcune appariscenze, ma conservò tutti i poteri della Corona e rifiutò l’identificazione Stato-partito, anche a cospetto della conquista dell’Etiopia e dell’intervento in Spagna a sostegno dei nazionalisti contro il Governo repubblicano, dettato dall’opportunità di arginare il caos e l’egemonia dell’Urss su un Paese di rilievo strategico qual era ed è la Spagna. Da Gibilterra la Gran Bretagna osservò compiaciuta. Però dal 1938 la monarchia divenne bersaglio delle correnti repubblicane del Partito nazionale fascista, attratte dal nazionalsocialismo di Hitler assunto a modello, che tutto ebbe in mente tranne che la restaurazione degli Hohenzollern in Germania o degli Asburgo in Austria, a differenza di quanto poi fece Franco in Spagna, con la “instaurazione” (non “restaurazione”) di Juan Carlos di Borbone. Da quell’anno iniziò una divaricazione del Pnf dalla Corona che non può essere letta alla luce di alleanze di vertici parlamentari e partitici degli anni Sessanta-Settanta, quando i “monarchici” (dal seguito sempre meno rilevante rispetto ai quasi 11 milioni di voti ottenuti dalla Corona al referendum istituzionale del giugno 1946) confluirono nel Movimento sociale (che ancora si proclamava erede dalla Rsi, cioè dell’avversario più accanito della monarchia). Sommati sotto la etichetta di “destre”, i “monarco-fascisti” rimasero confinati nel recinto del 6-7% dei voti. La storiografia (non solo sulle “destre”) ne rimase condizionata e non se ne è ancora liberata. Ma la tattica partitico-elettorale è altra cosa dalla storiografia. Dal 1848 al 1938, questo è il punto, la monarchia italiana non era stata “di destra”, né meno ancora di minoranza. Era l’Istituzione che aveva assicurato agli italiani unità, indipendenza e libertà. Se ne parlerà l’anno venturo nel terzo convegno sul lungo e spesso drammatico regno di Vittorio Emanuele III: gli anni 1938-1946, un decennio da scandire in segmenti discontinui, quale fu la storia, da ripercorrere “sine ira et studio” e anche senza feticismi di alcun tipo, come bene osserva Chiarenza a proposito di chi utilizza insegne monarchiche e nel contempo si proclama repubblicano. La storia non ha etichette, non è propaganda: documenta, spiega, comprende e lascia a ciascuno la valutazione dei fatti, “lacrimae rerum”. Non fu un “monarchico”, ma Gianfranco Fini a marchiare il fascismo come “male assoluto”, mentre molti “fascisti” e “neofascisti” dissero e scrissero tutto il male possibile di Vittorio Emanuele III, di Umberto II e dei monarchici (altra cosa dai “monarchisti”, come bene scrisse Luigi Federzoni nel “Diario inedito 1943-1944”, edizioni “Pontecorboli”, 2019). La ricerca e il dibattito sulla vera storia d’Italia sono un campo ancor tutto da dissodare. È la stagione giusta per farlo.
Aldo A. Mola (Torre San Giorgio)
Il Giornale del Piemonte e della Liguria, 28 novembre 2019